IL TRIBUNALE Pronunciando ai sensi dell'art. 5, comma 1, legge 13 aprile 1988 n. 117 nella causa iscritta al n. 675/1998 R.G. A.C., promossa da Recupero Giuseppe, nato a Barcellona P.G. (Messina) il 16 febbraio 1927 e residente in Messina, via C. Battisti, 229, elettiv. te domiciliato in Messina, via Maddalena is 147 presso lo studio dell'avv. Sebastiano Fatato che lo rappresenta e difende giusta procura a margine dell'atto di citazione, attore; Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato per legge all'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Messina, presso i cui uffici in Messina via dei Mille, 221, e' domiciliato, convenuto; avente ad oggetto: risarcimento danni per responsabilita' civile dei magistrati; sciogliendo la riserva assunta all'udienza camerale del 21 ottobre 1998, cui le parti sono state rimesse dal giudice istruttore con ordinanza ex art. 5, comma 2, legge n. 117 del 1988, resa in data 13 ottobre 1998, sentito il rettore; Osserva in fatto 1. - Con atto di citazione notificato in data 26 marzo 1998, il dott. Giuseppe Recupero, magistrato in servizio presso la Pretura circondariale di Messina, conveniva in giudizio avanti questo tribunale, ai sensi dell'art. 4, comma 1, legge 13 aprile 1988 n. 117, il Presidente del Consiglio dei Ministri, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti in conseguenza dei provvedimenti con i quali il publico ministero presso il tribunale di Reggio Calabria, nelle persone dei dottori Giuliano Gaeta (procuratore) e Francesco Mollace (sost. proc.), prima, e il giudice delle indagini preliminari presso lo stesso tribunale, dott. Domenico Ielasi, poi, avevano rispettivamente chiesto e ordinato nei suoi confronti l'applicazione della misura cautelare della custodia in carcere (sofferta per quttro mesi e ventidue giorni, dal 26 luglio 1993 al 6 ottobre 1993), con cio' determinando anche la sospensione di diritto dalle funzioni e dallo stipendio (disposta dalla sezione disciplinare del C.S.M. con ordinanza in data 10 settembre 1993), in quanto sottoposto ad indagini per i delitti di concorso in lesioni personali aggravate, concorso nella detenzione e nel porto illegale di arma da sparo, e per il delitto di corruzione continuata in atti giudiziari: delitti tutti dai quali evidenziava di essere stato assolto, con formula piena, con sentenza del tribunale di Reggio Calabria in data 21 gennaio 1997, confermata dalla Corte d'appello della stessa citta' con sentenza del 12 ottobre 1998. Assumeva l'attore che i magistrati reggini erano incorsi in colpa grave per aver chiesto ed emesso il detto provvedimento restrittivo dei casi consentiti dalla legge, ossia per il reato di lesioni volontarie lievi (in quanto di durata non superiore a venti giorni). 2. - Costituendosi in giudizio per conto del convenuto Presidente del Consiglio dei Ministri, l'Avvocatura dello Stato eccepiva preliminarmente l'incompetenza del tribunale adito, in quanto compreso nel distretto nel quale l'attore svolge attualmente la sua attivita' di magistrato, e cio' in estensione analogica della norma di cui all'art. 4, comma 1, legge cit., data la ravvisata identita' di ratio tra l'ipotesi in cui nel "distretto piu' vicino a quello in cui e' compreso l'ufficio giudiziario al quale apparteneva il magistrato (della cui responsabilita' civile si tratta) al momento del fatto" sia venuto ad esercitare le sue funzioni quest'ultimo, e quella in cui in tale distretto sia venuto (o abbia continuato) a esercitare le sue funzioni il magistrato che la detta responsabilita' intende far valere come attore. In subordine eccepiva l'illegittimita' costituzionale della norma menzionata, per contrasto con gli artt. 3 e 25 Cost., nella parte in cui non contempla tale seconda ipotesi per assogettarla al medesimo meccanismo di spostamento automatico della competenza previsto per la prima. Opponeva, inoltre, l'inammissibilita' della domanda in quanto non supportata da valide e specifiche censure sull'operato dei magistrati e comunque perche' proposta al di la' dell'ipotesi per le quali essa e' consentita dalla legge. In diritto 3. - Allo spostamento di competenza, che il convenuto ritiene necessario per le stesse ragioni e secondo lo stesso meccanismo che per il caso, normativamente previsto, in cui ad operare nel distretto di questo tribunale fosse venuto taluno dei magistrati della cui responsabilita' si discute, non puo' pervenirsi in via interpretativa. L'art. 4, comma 1, legge 13 aprile 1988 n. 117 (a tenore del quale "competente e' il tribunale del luogo ove ha sede la corte d'appello del distretto piu' vicino a quello in cui e' compreso l'ufficio giudiziario al quale apparteneva il magistrato al momento del fatto, salvo che il magistrato sia venuto ad esercitare le funzioni in uno degli uffici di tale distretto. In tal caso e' competente il tribunale del luogo ove ha sede la corte d'appello dell'altro distretto piu' vicino, diverso da quello in cui il magistrato esercitava le sue funzioni al momento del fatto") configura una disposizione derogativa agli ordinari criteri, generali o speciali, di determinazione della competenza per territorio, e come tale non e' suscettibile di interpretazione estensiva od analogica. 4. - Diviene pertanto ineludibile l'esame della questione, subordinatamente prospettata, di legittimita' costituzionale della norma: questione che e' certamente rilevante ai fini della determinazione del giudice competente a conoscere della presente causa (e cio' anche in sede di preliminare delibazione sulla ammissibilita', questa ovviamente postulando la competenza del giudice chiamato a pronunciarsi) ed a parere di questo collegio e' anche non manifestamente infondata. 4.1. - Sulla rilevanza della questione basti osservare che l'attore e' magistrato in attivita' il quale, come documentato in atti: a) ha esercitato le funzioni di giudice presso il tribunale di Messina per oltre vent'anni dal 16 ottobre 1974 fino al 23 luglio 1993 (data di decorrenza della sospensione di diritto delle funzioni disposta dal C.S.M. ai sensi dell'art. 31 R.d.l. 31 maggio 1946, n. 511) e poi dal 12 marzo 1997 (data in cui e' stato reimmesso nelle funzioni di giudice del medesimo tribunale) al 18 settembre 1997; b) dal 19 settembre 1997 e tuttora esercita le funzioni di giudice delle indagini preliminari presso la Pretura circondariale di Messina. 4.2. - La questione appare poi non manifestamente infondata, sebbene non con riferimento all'art. 25 Cost. (che si deve ritenere pienamente rispettato nella misura in cui nessun dubbio consente la norma sulla esatta identificazione del giudice competente per territorio e dunque sulla sua precostituzione per la legge), ma con riferimento agli art. 3 e 24 Cost. Al riguardo possono invero ripetersi le considerazioni svolte nell'ordinanza con la quale altra sezione di questo tribunale, pronunciando in un caso assai simile, ha gia' sollevato questione di legittimita' costituzionale, per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. (tribunale di Messina, ordinanza del 14 luglio 1997, publicata nella Gazzetta Ufficiale n. 9 del 4 marzo 1998, n. 104/1998 Reg. Ord.: questione tuttora perdente): con l'avvertenza che le peculiarita' della fattispecie in esame conferiscono a quelle stesse argomentazioni significati piu' pregnanti e ulteriori dal momento che, a differenza del caso trattato nella citata ordinanza (ove il sospetto di incostituzionalita' sorgeva dal fatto che il magistrato danneggiato - attore - esercitava le sue funzioni in ufficio del distretto di Corte d'appello di Messina, diverso dal tribunale chiamato a giudicare secondo la norma censurata, al momento dell'evento dannoso ma non piu' al momento della proposizione della domanda), nella specie, come detto l'attore magistrato (danneggiato) non solo esercitava le sue funzioni al momento del fatto nel medesimo tribunale ora investito della sua domanda, ma tuttora le esercita nel medesimo distretto, seppure in diverso ufficio. Condividendo, dunque, e rapportando al caso di specie, i rilievi gia' svolti nella menzionata ordinanza, puo' osservarsi che a fronte di una ratio ispiratrice evidentemente volta ad evitare turbative o apparenze di turbative alla serenita' ed imparzialita' dei giudizi, di evitare cioe' ai giudici del relativo procedimento il disagio di decidere nei confronti di un magistrato del proprio ufficio o del medesimo distretto di appartenenza, o comunque i sospetti che in tali circostanze potrebbero comunque ab externo nutrirsi sulla effettiva imparzialita' del giudice, il dettato normativo appare insufficente e in contrasto con i principi costituzionali di cui agli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui non prevede lo spostamento della competenza territoriale (analogo e speculare a quello previsto per il caso che il magistrato danneggiante sia venuto sia venuto ad esercitare le funzioni in uno degli uffici di tale distretto) nell'ipotesi in cui l'attore (danneggiato) sia a sua volta un magistrato che all'epoca dei fatti svolgeva la sua attivita' nel medesimo ufficio giudiziario chiamato a decidere sulla sua domanda risarcitoria o che in ufficio del medesimo distretto si trovi ad esercitare le sue funzioni al momento della proposizione della domanda. Non sembra invero dubitabile che analogo rischio di reale o anche solo apparente condizionamento della serenita' ed imparzialita' dei giudizi sia ravvisabile anche in tali ipotesi, conseguendone una non ragionevole disparita' di disciplina di casi del tutto simili, riflettentesi in una sensibile violazione del diritto di difesa - del magistrato danneggiante - che implica quello ad un giusto processo di fronte ad un giudice che sia ed anche appaia terzo e imparziale. Tale ultimo pericolo non puo' considerarsi escluso per il fatto che formalmente legittimato passivo dell'azione sia il Presidente del Consiglio dei Ministri, dato che il magistrato e' comunque legittimato ad intervenire in giudizio (art. 6, che prevede a tal fine un'obbligatoria litis denuntiatio) e che la decisione e' idonea ad incidere nei confronti sia sotto il profilo economico (azione di rivalsa dello Stato di cui l'art. 7) che sotto quello disciplinare (art. 5 comma 5 e 9), oltre che sotto l'aspetto meramente morale e professionale (in tal senso la richiamata ordinanza tribunale di Messina 14 luglio 1997). Sotto il primo profilo (violazione del principio di uguaglianza), poi, la ovvia diversa posizione sostanziale e processuale che nei due casi assume, rispetto alla domanda di risarcimento, il magistrato che ha operato e/o che opera in ufficio del medesimo distretto ove e' compreso il tribunale investito del giudizio, non sembra possa giustificare la disparita' di disciplina determinativa del foro. Non sfugge invero al collegio che mentre nell'un caso (magistrato danneggiante) il sospetto che si tende ad evitare e' quello che si possa essere condizionati nel giudicare del concreto esercizio della funzione giurisdizionale di un collega operante nel medesimo distretto, nell'altro (magistrato danneggiato attore) il rischio e' semmai quello di essere condizionati nel valutare la fondatezza delle pretese risarcitorie di un collega che, al momento del fatto e/o al momento della proposizione della domnda, operi nel distretto: rischio qust'ultimo non dissimile da quello che in generale puo' prospettarsi in qualsiasi causa civile di risarcimento danni promossa da un magistrato. Non sembra pero' che tale diversita', rispetto alle opzioni di valore chiaramente sottese alla scelta legislativa espressa nell'art. 4, comma 1, legge 117/1988, possa assumere decisivo rilievo. Convincono in tal senso due ordini di considerazioni. Una prima e' gia' svolta nella richiamanta ordinanza (tribunale di Messina 14 luglio 1997) e fa leva sulla norma di cui all'art. 11 c.p.p. che, approvato pochi mesi dopo la legge sulla responsabilita' civile dei magistrati, prevede meccanismi del tutto simili di spostamento della competenza territoriale nel processo penale tanto nell'ipotesi in cui il magistrato sia soggetto passivo dell'azione penale quanto in quella in cui egli assuma la veste di parte lesa dal reato. Ma utili argomenti possono trarsi anche dalla sentenza della Corte costituzionale n. 51 del 9-12 marzo 1998 (in Giust. Civ. 1998, I, p. 1496 ss.), che ha dichiarato inammissibili le questioni di leggittimita' costituzionale del cambinato disposto degli articoli da 18 a 36 del codice di procedura civile, sollevate dai giudici remittenti, per contrasto con gli art. 3, 24, 25 e 101 Cost., nella parte in cui il sistema di determinazione della competenza territoriale configurato da quegli articoli non prevede uno spostamento della competenza per territorio secondo principi predeterminati quali quelli previsti, per il processo penale, dall'art. 11 cod. proc. pen.: a) nel caso in cui un magistrato sia attore o convenuto in un procedimento civile; b) ovvero, in linea subordinata, limitatamente al caso in cui il giudizio civile abbia ad oggetto fatti la cui rilevanza penale debba essere incidentalmente accertata; c) ovvero, in via ulteriolmente subordinata, nei procedimenti civili per diffamazione a mezzo stampa in cui sia applicabile la sanzione di cui l'art. 12 legge sulla stampa (ordinanza di remissione della Corte d'appello di Roma 18 dicembre 1996) ovvero ancora ai giudizi civili nei quali sia attore o convenuto un magistrato e che abbiano ad oggetto una domanda di risarcimento dei danni derivati da un reato, di cui il magistrato, parte del giudizio civile, si assume l'autore ovvero la persona offesa o il danneggiato (ordinanza del tribunale di Roma 11 novembre 1996). La Corte invero ha dichiarato inammissibile siffatte questioni in quanto "la richiesta sentenza additiva comporta... una scelta fra piu' soluzioni possibili, che e' rimessa al legislatore". La motivazione della sentenza fa leva essenzialmente sulla ribadita sostanziale disomogeneita' tra processi civile e penale "improntati - segnatamente in tema di competenza territoriale - a regole e criteri diversi, che si adeguano a distinte tradizioni ed esigenze attuali" come dimostra il fatto che - nota la Corte - "nel processo penale - esclusi ovviamente i casi di connessione - unico e' il foro territoriale, cioe' qullo previsto dall'art. 8 cod. proc. pen., cui appunto deroga il successivo art. 11; mentre nel processo civile sussiste un'ampia pluralita' di fori, correlati ai molteplici interessi, riguardanti persone e cose, che vengono in considerazione relativamente alle varie liti" e dai quali non si puo' prescindere per "valutare quale fra le tante soluzioni possibili sia la piu' confacente al processo civile, nei cui riguardi le modalita' attuative del principio di imparzialita'-terzieta' non sono necessariamente identiche a quelle previste per il processo penale" di guisa che - conclude la sentenza - "solo il legislatore puo' stabilire, nell'esercizio del suo potere discrezionale, quando ricorra quell'identita' di ratio che imponga l'estensione pura e semplice del criterio di cui l'art. 11 cod. proc. pen. come del resto esso ha gia' ritenuto relativamente alle controversie in materia di danno arrecato dai magistrati nell'esercizio delle loro funzioni (v. artt. 4 e 8 della legge 13 aprile 1988, n. 117) - e quando, invece, quella ratio non ricorra affatto o sia realizzabile attraverso la previsione di un foro derogatorio appropriato alla specifica materia". Ora pero', tale fulcro della decisione non sembra possa valere nel caso in esame, ove - come espressamente ricorda la stessa sentenza della Corte costituzionale nel su evidenziato inciso - si e' di fronte gia' ad una precisa scelta legislativa che ricalca il criterio di cui all'art. 11 c.p.p. (nella evidentemente sottintesa identita' di ratio) e che in concreto si traduce nella indicazione di un foro speciale esclusivo, non soggetto a nessuna soluzione alternativa. Occorre dunque entrare nel merito della questione e, nel merito, prendere atto che, nonostante il giudizio di fondo circa la ricorrenza di identiche esigenze di tutela cui adeguare la determinazione del giudice competente per territorio nel processo penale e nel giudizio civile di danno ex lege 117/1988, l'omessa previsione di uno spostamento di competenza in tale ultimo giudizio anche nel caso quale quello in esame risulta oggettivamente frutto di una opzione legislativa che nega alla qualita' di magistrato danneggiato (attore) operante nel distretto idoneita' ad incidere negativamente sulla imparzialita' del giudice diversamente non solo dal rilievo che invece si attribuisce alla qualita' di magistrato danneggiante ma anche da quello che alla medesima posizione sostanziale si riconosce nel processo penale (assimilato al primo, quanto ai criteri sulla competenza territoriale, per ogni altro aspetto). Il dubbio che tale distinzione non risponda a criteri di ragionevolezza e finisca col ledere il diritto di agire e difendersi di fronte ad un giudice "che rimanga, ed anche appaia, del tutto estraneo agli interessi oggetto del processo" appare a questo collegio non manifestamente infondato e deve pertanto comportare la remissione della questione alla Corte costituzionale nei termini, e con le consequenziali statuizioni, di cui al dispositivo.